Essere counselor

Il Counseling è una relazione tra due persone, il counselor e il cliente. Il cliente si rivolge al counselor per cercare di rispondere ad un bisogno specifico, relativo all’ambito familiare, ai rapporti affettivi, agli ambiti lavorativi e di autorealizzazione. 

La British Association for Counselling (1985) definisce il counseling “… l’uso professionale e regolato da principi, di una relazione, nell’ambito della quale il cliente è aiutato nel processo finalizzato a facilitare una migliore conoscenza di sé e l’accettazione dei propri problemi emotivi e a portare avanti la propria crescita emozionale e lo sviluppo ottimale delle proprie risorse personali. Lo scopo finale è di fornire al cliente un’opportunità di vivere in modo soddisfacente ed in base alle proprie risorse”.

Counseling significa consulenza, forma di rapporto interpersonale in cui un individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze o le capacità per risolverlo, si rivolge a un altro individuo, il consulente (o counselor) che, grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione.

Il Counseling nasce negli Stati Uniti intorno agli anni ‘20, come risposta a tutti coloro che, pur svolgendo un lavoro richiedente una buona conoscenza della personalità umana, non erano né psicologi né psicoterapeuti e approda in Europa negli anni ‘30, attraverso la Gran Bretagna, sia come servizio di orientamento pedagogico che come strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato. In Italia per arrivare ad una specifica definizione di competenza dobbiamo attendere gli anni ‘80.

Il Counselor è la figura professionale che “attraverso le proprie conoscenze e competenze è in grado di favorire la soluzione ad un quesito che crea disagio esistenziale e/o relazionale ad un individuo o un gruppo di individui. In questo senso si può parlare del Counselling come di un modello di intervento che mira a porre gli individui e i gruppi in una condizione di empowerment”. (Claudia Montanari in Dizionario Internazionale di Psicoterapia, 2012)

Le scuole in cui mi sono formata (Aspic di Roma e Sibig di Milano) mi hanno portato ad un tipo di counseling che viene definito Bioenergetico Gestaltico.  Tale definizione deriva dall’unione delle teorie di C. Rogers, A. Lowen e F. Perls del quale utilizzo le tecniche tipiche del colloquio di counseling, come l’ascolto attivo e la riformulazione, oltre che quelle del lavoro corporeo – tecniche espressive, radicamento – unite a momenti di racconto del vissuto personale in un contesto di osservazione del dualismo figura e sfondo.

Perché è un percorso breve…o almeno dovrebbe esserlo.

A differenza dei percorsi terapeutici, che hanno un fine sanitario, diagnostico e curativo e possono durare anni e anni, il counseling è una relazione di sostegno e accompagnamento per il  raggiungimento di un obiettivo stabilito dal cliente ed è pertanto naturale che debba arrivare ad una conclusione rispetto ad un determinato obiettivo. Ogni singolo percorso di counseling ha infatti un obiettivo chiaro…altrimenti non è counseling. Normalmente il percorso è di non più di 15 sessioni. 

Inoltre se il concetto di chiusura ha senso in ogni percorso di crescita, ancor di più è importante nel counseling ad approccio gestaltico. Se è vero infatti che ogni Gestalt prima o poi va conclusa, e solo dopo può aprirsene un’altra, un percorso di counseling che non raggiunga il suo compimento è gestalticamente fallimentare. Ovviamente, se dopo un’interruzione di qualche mese, il cliente decide di farsi aiutare per affrontare altri ostacoli e raggiungere nuovi obiettivi, gli incontri riprendono e inizia un nuovo percorso. Il counselor sa che il cliente deve diventare indipendente, la sola cosa che deve fare è dunque rendere il cliente in grado di camminare con le proprie gambe.

Le sessioni durano in media 1h e 15 e possono essere settimanali, bisettimanali o mensili, a seconda del tipo di obiettivo e delle modalità evolutive del cliente.